Negare la residenza anagrafica ai richiedenti asilo significa escludere ancora di più persone che vivono già in fortissima difficoltà e che senza residenza non possono cercare lavoro, ottenere un documento di identità, avere assistenza medica.
La pronuncia della Corte costituzionale che giovedì 9 luglio ha dichiarato parzialmente incostituzionale il primo decreto Sicurezza dell’ex ministro degli Interni Salvini (LEGGI QUI) dà ragione a tutti quei sindaci che, come il primo cittadino di Rivalta di Torino Nicola de Ruggiero, hanno compiuto un atto di disobbedienza civile iscrivendo all’anagrafe donne e uomini richiedenti asilo nel nostro Paese, pur di garantire loro i diritti fondamentali della nostra Costituzione.
La Consulta ha infatti rilevato nelle disposizioni del decreto Sicurezza una duplice violazione dell’articolo 3 della Costituzione: «non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto» e soprattutto provoca una «disparità di trattamento», rendendo «ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l’accesso ai servizi che siano anche ad essi garantiti».
Il 30 settembre scorso Nicola de Ruggiero aveva iscritto all’anagrafe comunale di Rivalta di Torino Ousseynou Fall, migrante senegalese di 41 anni domiciliato al Centro di Accoglienza Straordinaria di strada del Dojrone (PER SAPERNE DI PIU’). L’iscrizione gli ha permesso di lavorare regolarmente e di ottenere la carta d’identità.
«Eravamo sulla strada giusta già un anno fa» dice oggi Nicola De Ruggiero. Che aggiunge: «ben conoscendo le disposizioni contenute nel Decreto Sicurezza, ho deciso di procedere personalmente alla registrazione del richiedente asilo, per assicurare i diritti fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione. La pronuncia della Corte costituzionale pone rimedio a una situazione lesiva e discriminatoria, sulla quale molti hanno preferito chiudere gli occhi».
È anche merito di tanti sindaci – di comuni piccoli e grandi – e delle loro prese di posizione se questa battaglia di civiltà è arrivata nelle aule dei tribunali, permettendo ai giudici di sollevare la questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte.