Dalla sua nascita nel 1947, il Premio Strega ha rappresentato un momento unico per la letteratura italiana, un’occasione per scoprire nuovi talenti e per celebrare i grandi autori del nostro Paese.
Questo mese i protagonisti dei nostri consigli sono i 12 libri selezionati per la finale e perché non provare a leggerli tutti indovinando quale sarà la cinquina dei finalisti e chi tra loro sarà il vincitore?
Nelle nostre biblioteche i titoli sono già disponibili per il prestito e sul sito ufficiale www.premiostrega.it è possibile, fino al 6 giugno, partecipare al Toto Strega che mette in palio, oltre a una copia dei dodici libri candidati, l’invito alla serata finale che si terrà a Roma il prossimo 6 luglio.
Quindi, se siete pronti a mettervi in gioco, cliccate qui: https://www.premiostrega.it/regolamento-toto-strega-2023/
Vi ricordiamo inoltre, che da qualche anno, la nostra biblioteca ospiterà i vincitori del Premio e non vediamo l’ora di offrire ai nostri lettori l’opportunità di incontrare i protagonisti di questa edizione.
DOVE NON MI HAI PORTATA di Maria Grazia Calandrone, Einaudi, 2022 – 256 pagine
Dove non mi hai portata esplora un nodo intimo e complesso. Indagando la storia dei genitori grazie agli articoli di cronaca dell’epoca, Calandrone fa emergere il ritratto di un’Italia stanca di guerra ma non di regole coercitive. Un Paese che ha spinto una donna forte e vitale a sentirsi smarrita e senza vie di fuga.
1965. Un uomo e una donna, dopo aver abbandonato nel parco di Villa Borghese la figlia di otto mesi, compiono un gesto estremo. 2021. Quella bambina abbandonata era Maria Grazia Calandrone. Decisa a scoprire la verità, torna nei luoghi in cui sua madre ha vissuto, sofferto, lavorato e amato. E indagando sul passato illumina di una luce nuova la sua vita. Dove non mi hai portata è un libro intimo eppure pubblico, profondamente emozionante e insieme lucidissimo. Attraversando lo specchio del tempo, racconta una scheggia di storia d’Italia e le vite interrotte delle donne. Ma è anche un’indagine sentimentale che non lascia scampo a nessuno, neppure a chi legge. Quando Lucia e Giuseppe arrivano a Roma è l’estate del 1965. Hanno con sé la figlia di otto mesi, sono innamorati, ma non riescono a liberarsi dall’inquietudine che prova chi è braccato. Perché Lucia è fuggita da un marito violento che era stata costretta a sposare e che la umiliava ogni giorno, e ha tentato di costruirsi una nuova vita proprio insieme a Giuseppe. Per la legge dell’epoca, però, la donna si è macchiata di gravi reati: relazione adulterina e abbandono del tetto coniugale. Prima di scivolare nelle acque del Tevere in circostanze misteriose, la coppia lascia la bambina su un prato di Villa Borghese, confidando nel fatto che qualcuno si prenderà cura di lei. Più di cinquant’anni dopo quella bambina, a sua volta diventata madre, si mette in viaggio per ricostruire quello che è davvero successo ai suoi genitori. Come una detective, Maria Grazia Calandrone ricostruisce la sequenza dei movimenti di Lucia e Giuseppe, enumera gli oggetti abbandonati dietro di loro, s’informa sul tempo che impiega un corpo per morire in acqua e sul funzionamento delle poste nel 1965, per capire quando e dove i suoi genitori abbiano spedito la lettera a «l’Unità» in cui spiegavano con poche parole il loro gesto. Dopo Splendi come vita, in cui l’autrice affrontava il difficile rapporto con la madre adottiva, Dove non mi hai portata esplora un nodo se possibile ancora piú intimo e complesso. Indagando la storia dei genitori grazie agli articoli di cronaca dell’epoca, Calandrone fa emergere il ritratto di un’Italia stanca di guerra ma non di regole coercitive. Un Paese che ha spinto una donna forte e vitale a sentirsi smarrita e senza vie di fuga. Fino a pagare con la vita la sua scelta d’amore.
Proposto da Franco Buffoni al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:
«Propongo la candidatura del romanzo Dove non mi hai portata di Maria Grazia Calandrone, Einaudi 2022, per il Premio Strega 2023 per due fondamentali motivi: la tenuta stilistica che non viene mai meno nelle 247 pagine del volume; la capacità dell’autrice di coinvolgere il lettore in una vicenda storica e umana al calor bianco. Già due anni fa con Splendi come vita, edito da Ponte alle Grazie, Maria Grazia Calandrone aveva visto pienamente riconosciute le proprie doti di narratrice, ben figurando nella dozzina del Premio Strega. Con questa nuova prova narrativa l’autrice, ben nota da decenni come indiscutibile voce poetica, non solo conferma le qualità di narratrice di razza allora poste in luce, ma le corrobora con una magistrale ricostruzione storica dell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta: riuscendo a ricostruire ambienti e situazioni (il Molise rurale, la periferia milanese in pieno boom economico, Roma magica di altera e sconsolata bellezza) in modo altamente poetico pur se finemente realistico, e dando dei propri genitori biologici tesi verso una tragica fine un ritratto nitido, al contempo profondamente partecipe, ferocemente oggettivo e emblematico nella sua attualità.»
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LA TRAVERSATA NOTTURNA di Andrea Canobbio, La nave di Teseo, 2022 – 528 pagine
In questa Traversata, il lettore sceglierà se indugiare nei luoghi del romanzo familiare o avventurarsi su sentieri più imprevedibili e nascosti.
Mosso dal desiderio di liberarsi dei ricordi che non smettono di tormentarlo, il narratore di questo libro decide di compiere un viaggio nella sua città, trasformata per l’occasione in un grande teatro della memoria. E come in ogni avventura che si rispetti, si dota delle armi magiche necessarie all’impresa: una mappa quadrata di ottantuno caselle, una raccolta di lettere d’amore e alcune vecchie agende fitte di appunti. La città è Torino, la storia è quella di una coppia italiana del dopoguerra, del loro innamorarsi, sposarsi e vivere prima felici e contenti, e poi infelici e scontenti. S’incontrano nel 1943: lui, ufficiale del Genio e futuro ingegnere, è appena tornato dalla Russia; lei ama la musica e la poesia. Si sposano nel 1946, mettono su famiglia. Gli anni della ricostruzione diventano presto gli anni del miracolo economico, che diventano presto gli anni della contestazione e della crisi. L’ingegnere, soccombendo alla melanconia, scava un tunnel personale dove rimane intrappolato, intrappolando anche la moglie e i figli. Disseminati i frammenti del tempo nello spazio della città, il narratore indaga i motivi misteriosi della depressione del padre. Alla fine, però, nessuna ragione gli sembra sufficiente a spiegare trent’anni di tristezza irrimediabile. Capisce che sono proprio i ricordi più dolorosi quelli che gli permettono di non interrompere il dialogo con i genitori – che, dopotutto, non vuole far scomparire dalla propria vita. In questa Traversata, il lettore sceglierà se indugiare nei luoghi del romanzo familiare o avventurarsi su sentieri più imprevedibili e nascosti. Qui incontrerà case stregate, martiri e reliquie, monumenti equestri, bilance svizzere, papiri egizi, antropologi e architetti; e poi cavalli bianchi, volpi pallide, pesci siluro e molti altri animali. Ma giunto alle ultime pagine riconoscerà le voci che risuonano nitide tra le righe: quelle di chi se ne è andato e offre un’ultima occasione di incontro a chi è rimasto.
Proposto da Elisabetta Rasy al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:
«Parte come un memoir La traversata notturna di Andrea Canobbio, ma diventa subito un potente romanzo famigliare dei nostri giorni, toccando con originalità e intensità il sentimento delle radici che ognuno di noi a suo modo coltiva. Tanto più convincente la storia che Canobbio ci racconta perché lo scrittore evita i modi della saga o delle reminiscenze sentimentali per inoltrarsi in una sorta di ricerca del tempo perduto che, come in un’antica epopea, si dilata in spazi ed epoche distanti, in un sapiente andirivieni tra passato e presente. Il presente sono le peregrinazioni nella sua città, Torino, che è allo stesso tempo santuario dei ricordi, palcoscenico di una danza di spettri, e geografia esotica da decifrare come una terra straniera. Il narratore, chiedendo aiuto agli antropologi del passato, si fa etnologo della propria tribù familiare mentre si muove sulle per lui misteriose tracce della vita del padre, come una sorta di nuovo Telemaco che in cerca di Ulisse si aggira per contrade lontane, qui rappresentate da fragili reliquie: lettere del perduto amore dei genitori, agende di una fitta e difficile quotidianità, reperti medici della depressione paterna che renderà agli occhi del figlio il capofamiglia una figura irraggiungibile e dolorosa. Forse quasi tutte le famiglie felici si somigliano, certo ogni famiglia infelice lo è a suo modo, un modo che per essere narrativamente convincente deve saperne restituire l’originalità. È la sfida che Canobbio vince, anche in virtù di una prosa perfetta e di una lingua fresca, limpida e insieme colta, il cui tono famigliare non diventa mai banalmente confidenziale mentre mette in scena questa toccante storia italiana e racconta, come in un’intima epopea, ciò che ci lega e ciò che ci allontana dalla nostra origine.»
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COME D’ARIA di Ada d’Adamo, Elliot, 2023 – 144 Pagine
Un racconto di straordinaria forza e verità, in cui ogni istante vissuto è offerto al lettore come dono.
Daria è la figlia, il cui destino è segnato sin dalla nascita da una mancata diagnosi. Ada è la madre, che sulla soglia dei cinquant’anni scopre di essersi ammalata. Questa scoperta diventa occasione per lei di rivolgersi direttamente alla figlia e raccontare la loro storia. Tutto passa attraverso i corpi di Ada e Daria: fatiche quotidiane, rabbia, segreti, ma anche gioie inaspettate e momenti di infinita tenerezza. Le parole attraversano il tempo, in un costante intreccio tra passato e presente. Un racconto di straordinaria forza e verità, in cui ogni istante vissuto è offerto al lettore come un dono.
Proposto da Elena Stancanelli al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:
«Come d’aria è un libro che fruga dentro il cuore del lettore. Serviva la lingua esatta e implacabile di questa scrittrice per riuscire a sostenere un sentimento tanto feroce. C’è tutta la rabbia e tutto l’amore del mondo nel racconto di questa danza che lega due donne. Avvinghiate l’una all’altra, in una assoluta e reciproca dipendenza. Daria, la figlia, che comunica soltanto attraverso il suo irresistibile sorriso, Ada, la madre, catapultata suo malgrado in questa storia d’amore. Era una ballerina, Ada. E il corpo, di entrambe, è il centro di questo memoir sfolgorante per intelligenza, coraggio e misericordia. In questo libro si entra con enorme facilità, ma da questo libro si esce cambiati. C’è una tale quantità di vita, nelle sue pagine, da lasciarci senza fiato. Ci siamo noi, la fatica, la nostra inutile bellezza. Dalla prima lettura ho pensato che fosse una pepita d’oro, un dono, un abbraccio. Come avrebbe detto Bobi Bazlen, una perfetta e lacerante «primavoltità».»
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FERROVIE DEL MESSICO, di Gian Marco Griffi, Laurana Editore, 2022 – 824 pagine
Libro vincitore del Premio Libro dell’anno di Fahrenheit, del Premio Mastercard Letteratura e del Premio letterario Mario La Cava 2023
Con Ferrovie del Messico Gian Marco Griffi ci ha dato un grande romanzo corale, spassoso e commovente, giocoso e profondo, realistico e fantastico, avvincente senza tregua, scritto con una lingua quasi parlata, sempre cordiale tanto nel registro comico quanto in quello drammatico, e tuttavia
Se cercate dell’avventura, in questo romanzo ne troverete a bizzeffe. Se cercate della letteratura, con questo romanzo ne farete una scorpacciata. I luoghi e i tempi: Asti, Repubblica Sociale Italiana, febbraio 1944; su e giù per le ferrovie del Messico, tra gli anni Venti e gli anni Trenta del secolo scorso. I personaggi (non tutti): Cesco Magetti, milite della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria, tormentato dal mal di denti, incaricato di compilare una mappa delle ferrovie del Messico (l’ordine viene dall’alto, molto dall’alto); Tilde Giordano, ragazza bellissima e folle, imbevuta di letteratura, della quale Cesco si innamora all’istante e perdutamente; Steno, devotissimo fidanzato di Tilde, partigiano senz’armi; don Tiberio, prete di città confinato a Roccabianca a causa di certe sue insane passioni; Epa, cartografo samoano (delle Samoa tedesche); Adolf il Führer e la sua consorte Eva, alle prese con l’abuso di anglicismi; Angelo detto Angelino detto Angelito detto Lito Zanon, addetto cimiteriale alla bollitura di cadaveri; Mec il muto, suo sodale fin dai tempi in cui insieme costruivano ferrovie in Sudamerica; le due Marie, entrambe di nome Maria; Bardolf Graf, impiegato amministrativo, ignaro motore immobile di tutta la storia; Ettore e Nicolao, informatissimi e misteriosi clienti fissi del night club segreto l’Aquila agonizzante, prossimi ai partigiani; Gustavo Adolfo Baz, autore del volume Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México; Edmondo Bo, frenatore poeta, o poeta frenatore, o frenatore e poeta, in ogni caso alcolista e oppiomane; l’orribile Obersturmbannführer Hugo Kraas, amante dell’arte italiana, discutibile golfista e spietato SS; Giustina Decorcipo, compagna d’orfanotrofio di Ettore e Nicolao, violentata e uccisa e gettata sul bordo della strada a sedici anni; Feliciano, bambino morto.
Proposto da Alessandro Barbero al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:
«Ferrovie del Messico merita di essere candidato al Premio Strega per la novità, e l’ambizione, del concetto e della trama, come per la qualità della scrittura: il romanzo è scritto in una lingua versatile e mutevole, spesso apparentemente orale ma in realtà letteratissima, che attinge a tutte le risorse dell’italiano, delle parlate regionali, dei linguaggi specialistici, e financo a gerghi furfanteschi e fantastici.
Pubblicato da un piccolissimo editore, cosa che ulteriormente giustifica la sua candidatura, ha raggiunto un vasto pubblico soprattutto grazie al passaparola dei lettori e all’entusiasmo dei librai. In un panorama letterario come quello italiano, che sembra oggi dividersi tra il racconto quasi giornalistico di «storie vere», possibilmente tragiche, e il rimuginamento sull’eterna crisi della famiglia borghese, Ferrovie del Messico si staglia con un’originalità che merita di essere segnalata.»
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LE PERFEZIONI, di Vincenzo Latronico, Bompiani, 2022 – 144 pagine
«Non sempre la realtà era fedele alle immagini.»
Tutti vorrebbero la vita di Anna e Tom. Un lavoro creativo senza troppi vincoli; un appartamento a Berlino luminoso e pieno di piante; una passione per il cibo e la politica progressista; una relazione aperta alla sperimentazione sessuale, alle serate che finiscono la mattina tardi. Una quotidianità limpida e seducente come una timeline di fotografie scattate con cura. Ma fuori campo cresce un’insoddisfazione profonda quanto difficile da mettere a fuoco. Il lavoro diventa ripetitivo. Gli amici tornano in patria. Il tentativo di impegno politico si spegne in uno slancio generico. Gli anni passano. E in quella vita così simile a un’immagine – perfetta nel colore e nella composizione, ma piatta, limitata – Anna e Tom si sentono in trappola, tormentati dal bisogno di trovare qualcosa di più vero. Ma esiste? Vincenzo Latronico torna alla narrativa con una storia lucida e amara di sogni e disillusioni, una parabola sulle nostre vite assediate dalle immagini dei social media e sulla ricerca di un’autenticità sempre più fragile e rara.
Proposto da Simonetta Sciandivasci al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:
«Lo propongo perché non conosco altri romanzi che raccontino la migrazione come spinta, inquietudine, e natura dell’uomo, arcaica e futura. Non conosco altri romanzi interessati, in questo modo, al presente. Non conosco altri scrittori capaci di farmi dire che Sally Rooney si è sbagliata, sul conto della sua generazione, che poi è la stessa di Latronico, e anche la mia: la nostra ambizione non è essere persone normali. L’ambizione di Anna e Tom è potersi definire nel cambiamento, riconoscersi senza doversi identificare e avere «un cuore che batte più rapido e più lento, insieme». Lo propongo per la scrittura, così precisa da mettere in comunicazione e a nudo i protagonisti senza mai farli dialogare: non una parola tra virgolette. Lo propongo perché dà un contorno solido e luminoso alla dimensione morale della mia generazione. E perché è un romanzo senza intenzioni: a Latronico interessa lo sguardo, e basta.»
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RUBARE LA NOTTE, di Romana Petri, Mondadori, 2023 – 264 pagine
Romana Petri costruisce e decostruisce, sgretola le regole della biografia, evoca e racconta amori, amicizie e sgomenti come dettagli di un appetito d’avventura mai sazio, si muove fra le date e dentro la Storia alla sola ricerca del principe che ha sconfitto la notte ed è entrato volando nell’infinito.
Tutti lo sanno: Antoine de Saint-Exupéry ha scritto Il piccolo principe , uno dei romanzi più popolari del mondo. Quello che tutti non sanno è che Antoine, familiarmente Tonio, è un personaggio che vale da solo una grande storia. Ed è la storia che Romana Petri ha scritto con la febbre e la furia di chi si lascia catturare da un carattere e lo fa suo, anzi lo ruba, tanto che il documento prende più che spesso la forma dell’immaginazione. Orfano di padre, Tonio vive un’infanzia felice nel castello di Saint-Maurice-de-Rémens, amato, celebrato, avviluppato al mostruoso quasi ossessivo amore per la madre; un’infanzia che gli resta incollata all’anima per tutta la vita, fin da quando, straziato, vede morire il fratello più giovane. L’infanzia lo tallona come un destino quando, esaltato, comincia a volare, pilota civile e pilota militare, quando si innamora tanto e tante volte, quando si trasferisce in America, quando scrive, persino quando si schiera e sceglie di combattere per un’idea di Francia che forse è sua e solo sua. Dove sia andato Tonio, non sappiamo, nei cieli in fiamme del 1944. Sappiamo che ci ha lasciato le stelle della notte, il sogno di una meraviglia che non si è mai consumata, il bambino che lui ci invita a riconoscere eterno dentro di noi.
Proposto da Teresa Ciabatti al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:
«Romana Petri inventa un nuovo genere di biografia letteraria, tra la ricostruzione esatta alla Emmanuel Carrere (Io sono vivo, voi siete morti) e quella tutta d’immaginazione alla Joyce Carol Oates (Blonde). Anziché partire dai dati biografici, Petri parte dall’immaginario per ricostruire la vita dello scrittore – vita a sua volta travisata, romanzata al fine di rendere l’essenziale: l’urto tra quel che si crede che sia, e quel che è, tra origine e fine. Cuore puro, cuore malato, il Tonio di Romana Petri guarda da più in alto possibile la sorte degli umani e pone le condizioni di una trasformazione rivoluzionaria, più forte del surrealismo, più forte di ogni paura che incatena alla terra, più forte della morte perché i bambini non hanno paura della morte. Scrittrice raffinata, in trentatré anni di carriera e venticinque libri, non ha mai ceduto alle mode, portando avanti una letteratura personalissima e consapevole.»
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MI LIMITAVO AD AMARE TE di Rossella Pastorino, Feltrinelli, 2023 – 352 pagine
Dall’autrice del bestseller internazionale Le assaggiatrici, premio Campiello 2018, un romanzo epico e intimo, ispirato a una storia vera. L’avventura di una ragazza e due ragazzi cui il destino ha tolto tutto, ma che senza nemmeno saperlo finiranno per salvarsi l’un l’altro la vita
Omar ha dieci anni e passa le giornate alla finestra sperando che sua madre torni: da troppi giorni non viene, e lui non sa più nemmeno se è viva. Suo fratello gli strofina il naso sulla guancia per fargli il solletico, ma non riesce a consolarlo. Senza la madre il mondo svapora. Solo Nada lo calma, tenendolo per mano: soltanto lei, con i suoi occhi celesti, è per Omar un desiderio. Ha undici anni, sulla fronte una vena che pulsa se qualcuno la fa arrabbiare, e un fratello, Ivo, grande abbastanza da essere arruolato. Nada e Omar sono bambini nella primavera del 1992, a Sarajevo.
Per allontanarli dalla guerra, una mattina di luglio un pullman li porta via contro la loro volontà. Se la madre di Omar è ancora viva, come farà a ritrovarlo? E se Ivo morisse combattendo? In viaggio per l’Italia, lungo strade ridotte in macerie, Nada conosce Danilo, che ha mani calde e una famiglia, al contrario di lei, e che un giorno le fa una promessa.
Nessuna infanzia è spensierata, ciascuno di noi porta con sé le sue ferite, ma anche quando ogni certezza sembra venire meno, possiamo trovare un punto fermo attorno al quale far girare tutto il resto.
Mi limitavo ad amare te entra nelle fibre del lettore colpendo quel punto come una freccia. Ispirato a una storia vera, è un romanzo di ampio respiro, di formazione, di guerra e d’amore, che si colloca a pieno titolo nella tradizione del grande romanzo europeo. Con la sua scrittura precisa e toccante, Rosella Postorino torna a indagare le nostre questioni private, quelle che finiscono per occupare il centro dei pensieri e delle azioni degli esseri umani anche nel mezzo dei rivolgimenti storici più scioccanti. Così, mentre infuria il conflitto che per primo in Europa ha spezzato una lunga pace, ecco che ci interroghiamo sull’inconveniente di essere nati. Come si diventa grandi quando da piccoli si è stati amati malamente? E chi può mai dire di essere stato amato come e quanto avrebbe voluto? Nada, Omar e Danilo scoprono presto nel legame che li unisce, e che li spinge a giurarsi fedeltà eterna oppure a tradirsi, la più grande risorsa per una possibile salvezza.
Proposto da Nicola Lagioia al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:
«Nell’ultima decade del Novecento ci siamo cullati nell’illusione che la Storia, intesa come catena ininterrotta di atrocità, violenze e prevaricazioni – «uno scandalo che dura da diecimila anni», diceva Elsa Morante – fosse finita. Eppure bastava guardare alla ex Jugoslavia, al di là dell’Adriatico, per avere la conferma del contrario: una guerra rimossa in tempo reale trent’anni fa, e dimenticata poi. Con Mi limitavo ad amare te, Rosella Postorino decide di tornare a quei tempi tutto sommato recenti, e a quel conflitto, proprio mentre un’altra guerra (qui c’è il potere anticipatorio di certi scrittori) torna a scuotere l’Europa. Nel suo romanzo, Postorino pratica con grande sensibilità e forza narrativa una lezione letteraria sempre valida: i veri testimoni del tempo sono le sue vittime, chi porta addosso le cicatrici della Storia ne è il testimone più attendibile. Ma i testimoni di questo tipo quasi sempre non hanno voce, e così la letteratura svolge un fondamentale ruolo vicario: raccontare per chi non può farlo. Poiché la forma romanzesca, per sua natura, è tuttavia in grado di giocare contemporaneamente più partite, ecco che quello di Postorino, oltre che un romanzo storico, riesce a essere anche un toccante romanzo famigliare e di formazione, capace di farci riflettere e scuoterci nel profondo. Le vicende dei protagonisti diventano le nostre in poche pagine. Il premio Strega può essere un’ottima occasione perché Mi limitavo ad amare te entri al meglio nel dibattito letterario di quest’anno.»
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CASSANDRA A MOGADISCIO di Igiaba scego, Bompiani, 2023 – 368 pagine
Gli occhi appannati di una ragazzina vedono la Somalia dilaniata nell’indifferenza del mondo. Oggi quella ragazza ormai cresciuta ci racconta una storia che è anche la nostra
A Roma, il 31 dicembre 1990, una sedicenne si prepara per la sua prima festa di Capodanno: indossa un maglione preso alla Caritas, ha truccato in modo maldestro la sua pelle scura, ma è una ragazza fiera e immagina il nuovo anno carico di promesse. Non sa che proprio quella sera si compirà per lei il destino che grava su tutta la sua famiglia: mentre la televisione racconta della guerra civile scoppiata in Somalia, il Jirro scivola dentro il suo animo per non abbandonarlo mai più. Jirro è una delle molte parole somale che incontriamo in questo libro: è la malattia del trauma, dello sradicamento, un male che abita tutti coloro che vivono una diaspora. Nata in Italia da genitori esuli durante la dittatura di Siad Barre, Igiaba Scego mescola la lingua italiana con le sonorità di quella somala per intessere queste pagine che sono al tempo stesso una lettera a una giovane nipote, un resoconto storico, una genealogia familiare, un laboratorio alchemico nel quale la sofferenza si trasforma in speranza grazie al potere delle parole. Parole che, come un filo, ostinatamente uniscono ciò che la storia vorrebbe separare, in un racconto che con il suo ritmo ricorsivo e avvolgente ci svela quanto vicende lontane ci riguardino intimamente: il nonno paterno dell’autrice, interprete del generale Graziani durante gli anni infami dell’occupazione italiana; il padre, luminosa figura di diplomatico e uomo di cultura; la madre, cresciuta in un clan nomade e poi inghiottita dalla guerra civile; le umiliazioni della vita da immigrati nella Roma degli anni novanta; la mancanza di una lingua comune per una grande famiglia sparsa tra i continenti; una malattia che giorno dopo giorno toglie luce agli occhi. Come una moderna Cassandra, Igiaba Scego depone l’amarezza per le ingiustizie perpetrate e le grida di dolore inascoltate e sceglie di fare della propria vista appannata una lente benevola sul mondo, scrivendo un grande libro sul nostro passato e il nostro presente, che celebra la fratellanza, la possibilità del perdono, della cura e della pace.
Proposto da Jhumpa Lahiri al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:
«La lingua italiana è sempre un personaggio cruciale nella narrativa di Igiaba Scego. Come Primo Levi, Italo Svevo, a altri scrittori di confine che che hanno indagato e arricchito l’italiano per via della loro condizione ibrida, Scego, di libro in libro, ha sempre scandagliato l’idioma della sua creatività con massima attenzione. Scrivendo dalla prospettiva di chi conosce l’italiano da dentro e da fuori, ne ha forgiato un linguaggio folgorante, urgente, tutto suo. In Cassandra a Mogadiscio, il cui titolo già segnala un ponte fra mondi, tempi e tradizioni, la politica e il personale si intrecciano, così come si sovrappongono le diverse lingue e realtà dei personaggi. Colpiscono i temi complessi e sempre più attuali dell’appartenenza, della famiglia diasporica, della ricerca delle origini e dello sradicamento. Ma questo romanzo, con intensità e autorevolezza, mette al centro la preminenza della parola: quella che squarcia, che resiste, che restituisce. Questo libro ben equilibrato, anche dirompente, sicuramente il libro più importante che esista, nella letteratura italiana, sulla storia postcoloniale italo-somala, va letto per uscire dal silenzio, dall’oblio e dalla rimozione che distorce la verità di quell’epoca, e per far i conti con il razzismo non solo di una volta ma di oggi. Va letto per rendere contemporanea e sempre rilevante la lotta secolare di donne che hanno da dire ma sono condannate a non essere ascoltate. Sono le parole, dunque, di questa Cassandra testarda ma tenera, vincente e accogliente, vispa e ironica, che conquistano il lettore, e la sua potenza sta nel continuare a esprimersi senza rabbia, solo con convinzione e con lucidità. In questa Cassandra, crediamo.»
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IL CONTINENTE BIANCO di Andrea Tarabbia, Bollati Boringhieri, 2023 – 252 pagine
Venticinque anni, bello come un Cristo e convinto che l’unica via per sopravvivere nel mondo sia un odio esercitato con calma e raziocinio, Marcello Croce è a capo di un movimento di estrema destra che annovera picchiatori, fanatici, ma anche teorici e figure dai tratti quasi metafisici – tutte accomunate dal fatto che, per loro, vivere è come trovarsi in guerra. Grazie anche alla connivenza con certi rappresentanti politici e alla condiscendenza con cui l’opinione pubblica, ormai, guarda a molti fenomeni legati al neofascismo, Croce porta avanti la sua idea di sovversione e, nel frattempo, frequenta Silvia, una donna della borghesia romana con la quale instaura un gioco di potere che li porterà alla perdizione. La vicenda è ricostruita da un narratore misteriosamente attratto da Marcello e curioso di capire che cosa muova coloro che, oggi, credono in un’idea superata e violenta e la vogliono attuare. Ma c’è di più. La storia di Silvia e della sua caduta era già stata raccontata nello splendido romanzo, rimasto allo stato grezzo, che Goffredo Parise scrisse alla fine degli anni Settanta, “L’odore del sangue”. “Il Continente bianco” ne riprende temi e motivi, e sposta la vicenda ai giorni nostri, conservando nel rapporto morboso tra Silvia e Marcello la metafora potente del fascino che certe idee hanno esercitato, ed esercitano, sulla borghesia italiana. Andrea Tarabbia, autore di “Madrigale senza suono”, scrive un romanzo sul potere, a volte funesto, che abbiamo sugli altri e ci regala un ritratto di un gruppo di persone – e forse di un Paese – che danzano sull’abisso.
Proposto da Daria Bignardi al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:
«È un romanzo forte, elegante, complesso, sul fascino del male ma soprattutto sul fascino della letteratura e dello scrivere. La storia di Silvia, la moglie perduta del dottor P. rubata a Goffredo Parise dell’Odore del sangue e reinventata con un’operazione raffinata e – mi viene da dire – pericolosa quanto affascinante, da Andrea Tarabbia, penso meriti l’attenzione del Premio. È un libro sul Male che fa male non solo per gli ambienti estremi e i personaggi bui e contorti che evoca, anzi, decisamente non per quelli, ma per come una storia scritta tanti anni possa rimanere viva, pericolosamente viva, quando a guardarla, a rileggerla, a tornarci dentro, è uno scrittore letterariamente audace come Tarabbia. Ecco, è questo soprattutto che mi ha colpito di questo lavoro originalissimo anche nella struttura: è vivo come un animale pericoloso, come il serpente che segue il narratore all’inizio del libro. Ho scritto molte volte la parola pericolo, me ne rendo conto, ma è la parola che meglio esprime la sensazione che mi ha lasciato questo romanzo e che vorrei condividere coi lettori giurati dello Strega, anche per affrontarla e comprenderla insieme.»
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TORNARE DAL BOSCO di Maddalena Vaglio Tanet, Marsilio, 2023 – 272 pagine
A partire da fatti reali e racconti di famiglia, articoli di giornali, dicerie e mitologie, Maddalena Vaglio Tanet racconta una storia di possibilità e di fantasmi, di esseri viventi che inciampano in vicende più grandi di loro, e di bambini dei quali – come scriveva Simona Vinci, al suo esordio – non si sa niente, se non che sono gli unici a conoscere quanta realtà ci sia nelle fiabe, quanto amore stia nella paura, e quante sorprese restino acquattate nel bosco
Il bosco è il bosco, la montagna è la montagna, il paese è il paese e la maestra Silvia è la maestra Silvia, ma è scomparsa. In una piccola comunità agitata dal vento della Storia che investe tutta l’Italia all’inizio degli anni Settanta, Silvia, la maestra, esce di casa una mattina e invece di andare a scuola entra nel bosco. Il motivo, o forse il movente, è la morte di una sua alunna. Non la morte: il suicidio. La comunità la cerca, ma teme che sia troppo tardi, per trovarla o per salvarla, e in qualche modo che queste due morti siano una maledizione. Il paese è di montagna e le paure e i sentimenti, che pure non possono essere negati, non possono nemmeno essere nominati. Teme il paese il contagio di una violenza tutta umana e mai sopita, una violenza che dopo due guerre mondiali si è trasfusa in una guerra civile, politica. La maestra però non si trova e il paese, per continuare a vivere e convivere con il lutto e l’incertezza, si distoglie. In questa distrazione, Martino, il bambino che non è nato nel paese e nemmeno è stato accolto, tagliando per il bosco incrocia un capanno abbandonato, e nel capanno, color della muffa e dorata come il cappello di un fungo, sta la maestra. Il bambino non dice di averla trovata, e la maestra non parla. Ma il bambino torna e la maestra, in fondo, lo aspetta. A partire da fatti reali e racconti di famiglia, articoli di giornali, dicerie e mitologie, Maddalena Vaglio Tanet racconta una storia di possibilità e di fantasmi, di esseri viventi che inciampano in vicende più grandi di loro, e di bambini dei quali – come scriveva Simona Vinci, al suo esordio – non si sa niente, se non che sono gli unici a conoscere quanta realtà ci sia nelle fiabe, quanto amore stia nella paura, e quante sorprese restino acquattate nel bosco.
Proposto da Lia Levi al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:
«La storia narrata è ambientata in un paesino di montagna certo più aspro che confortevole. Un giorno la tragedia: Giovanna, una scolara di undici anni, si è suicidata e Silvia, la sua maestra, è sparita senza lasciare tracce. Tutto il paese si affanna alla sua ricerca ma senza risultato. La troverà per caso Martino, un bambino di città trasferito a forza, per motivi di salute, in quella zona montana. Silvia, accucciata in un capanno abbandonato nel cuore del bosco, muta, stracciata, è ridiventata creatura della terra allo stato primigenio. Sarà Martino a portarle acqua, cibo e a riuscire a farla di nuovo parlare mantenendo la promessa di non rivelare a nessuno il suo nascondiglio. Alla fine della vicenda tutto si scioglierà in un finale che, però, non risolverà del tutto i tratti misteriosi di certi inestricabili comportamenti umani. Ma l’elemento che per me è risultato vincente è stata la doppia sfaccettatura dello stile letterario con cui la Vaglio si rivela. Da un lato un linguaggio sfumato con punte di liricità, da poetessa che è, quando ci descrive una fuga nella magia e nel messaggio segreto del bosco, e dall’altro il piglio crudo e quasi crudele nel momento in cui ci presenta fatti e personaggi del cupo paese fra le montagne. Un mix davvero interessante.»
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UNA MINIMA INFELICITÀ, di Carmen Verde, Neri Pozza, 2022 – 160 pagine
Ogni pagina di questo romanzo ci mostra cosa significhi davvero saper narrare utilizzando una lingua magnifica che ci ipnotizza, ci costringe ad arrivare all’ultima pagina, come un naufragio desiderato. Questo libro è il miracolo di una scrittrice che segna un nuovo confine nella narrativa di questi anni
Una minima infelicità è un romanzo vertiginoso. Una nave in bottiglia che non si può smettere di ammirare. Annetta racconta la sua vita vissuta all’ombra della madre, Sofia Vivier. Bella, inquieta, elegante, Sofia si vergogna del corpo della figlia perché è scandalosamente minuto. Una petite che non cresce, che resta alta come una bambina. Chiusa nel sacrario della sua casa, Annetta fugge la rozzezza del mondo di fuori, rispetto al quale si sente inadeguata. A sua insaputa, però, il declino lavora in segreto. È l’arrivo di Clara Bigi, una domestica crudele, capace di imporle regole rigide e insensate, a introdurre il primo elemento di discontinuità nella vita familiare. Il padre, Antonio Baldini, ricco commerciante di tessuti, cede a quella donna il controllo della sua vita domestica. Clara Bigi diventa così il guardiano di Annetta, arrivando a sorvegliarne anche le letture. La morte improvvisa del padre è per Annetta l’approdo brusco all’età adulta. Dimentica di sé, decide di rivolgere le sue cure soltanto alla madre, fino ad accudirne la bellezza sfiorita. Allenata dal suo stesso corpo alla rinuncia, coltiva con ostinazione il suo istinto alla diminuzione.
Proposto da Leonardo Colombati al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:
«Ho avuto la fortuna di seguire la materializzazione di Anna e Sofia – la figlia e la madre protagoniste del libro – da idee a compiuti personaggi letterari, con la sensazione che queste figure così sapientemente ritagliate abbiano tutte le caratteristiche per diventare come i geni delle favole arabe, così ingombranti e vitali da dover per forza uscire fuori dalle loro bottiglie: è il destino dei personaggi riusciti, più grandi delle opere che li contengono, a partire – dall’alto – da gente come Falstaff per finire, appunto, alla piccolissima Anna. Talmente piccola Anna, che deve per forza guardare tutti dal basso in alto: il che è un’ottima cosa per una macchina narrativa. Anche perché, per meritare lo sguardo della propria madre, Anna deve affinare il suo, concentrandosi proprio su sua madre come unico soggetto. È una scelta, una necessità, un atteggiamento che – senza svelare troppo le carte – ha a che fare con la letteratura: se, come io credo, il romanzo è l’arte di mettersi nei panni degli altri, quello di Carmen è un romanzo perfetto, per l’attenzione, mai giudicante, con cui la figlia posa gli occhi sull’oggetto del suo amore. La migliore letteratura è quella che, sotto traccia, trova anche il modo di riflettere su sé stessa. Carmen, con il suo stile elegante, ne è un esempio. Spero per il libro che trovi la sua strada. Carmen di sicuro l’ha già trovata. Mi auguro comunque che questa sua prima prova incontri il vostro interesse.»
Prenotalo dal catalogo: https://tinyurl.com/y45er67p
LA SIBILLA, VITA DI JOYCE LUSSU di Silvia Ballestra, Laterza, 2022 – 248 pagine
Rievocando le scelte, gli incontri, le occasioni, ripercorriamo l’esistenza di questa donna straordinaria (laica, cosmopolita, ‘anglo-marchigiana’) e il suo essere, da sempre, riferimento per molte donne e molti giovani
Lungo tutto il secolo breve, una donna bellissima e fortissima pensa, scrive, agisce, lotta. Viaggia prima per studio, poi attraversando fronti e frontiere dell’Europa occupata dai nazifascismi: Parigi, Lisbona, Londra, Marsiglia, Roma, il Sud dell’Italia dove sono arrivati gli Alleati. Documenti falsi, missioni segrete, diplomazia clandestina. Joyce, insieme al marito Emilio Lussu e ai compagni di Giustizia e Libertà, sostenuta nelle sue scelte dalla sua famiglia di origine, è in prima linea nella Resistenza. Poetessa, traduttrice, scrittrice, ha sempre coniugato pensiero (prefigurante, modernissimo) e azione. Azione che prosegue nel dopoguerra con la ricerca di poeti da tradurre per far conoscere le lotte di liberazione degli altri paesi, in particolare dell’Africa e del Kurdistan. Nazim Hikmet, Agostinho Neto, i guerriglieri di Amílcar Cabral che compongono canti di lotta durante le marce, sono alcuni degli autori che Joyce ‘scopre’ e propone attraverso traduzioni rivoluzionarie.
Proposto da Giuseppe Antonelli al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:
«A un certo punto della storia, si capisce che la libertà è un bene che può valere la vita. Così è stato durante gli anni del regime fascista e della guerra voluta dal dittatore Mussolini. Quel punto può ripresentarsi in qualunque momento. L’unico modo per capirlo è averlo vissuto o poterlo rivivere attraverso un racconto. Grazie a Silvia Ballestra, la straordinaria vita di Joyce Lussu rivive nelle pagine di un libro affascinante e imprevedibile com’era lei. Una sorta di valigia a doppio fondo, come quelle con cui superava i posti di blocco nazifascisti. C’è il romanzo di una vita e dentro una vita romanzesca; c’è la grande storia e dentro una grande storia d’amore: quella tra la sibilla Joyce ed Emilio Lussu; c’è la lingua agile del racconto e dentro le tante lingue parlate da una cittadina del mondo. Romanzo «di fame e di vita» e di fame di vita, vicenda di viaggi e di fughe (in questo senso, romanzo d’evasione), emozionante inno alla resistenza, all’indipendenza, alla libertà. Tutto questo è La Sibilla di Silvia Ballestra. E per questo, come amico della domenica, ho deciso di candidare il libro al Premio Strega 2023.»